Dalla famiglia all’individuo (Murray Bowen)
Un concetto che inizialmente potrebbe sembrare minoritario, ad una prima lettura di questa opera, è la focalizzazione che Bowen fa sulla scelta terminologica. Durante gli studi sulla famiglia l’autore istruisce la sua équipe a non utilizzare termini accademici, specialmente di ordine nosografico o psicoanalitico, per descrivere i fenomeni osservati. Lo scopo era quello di non fossilizzare lo studio della psicologia dei sistemi familiari su concettualità chiuse (che non riescono a creare comunicazione con il nuovo osservato) come lo era stato per le altre discipline che, a suo dire, ancorate alle proprie teorie, erano divenute sistemi chiusi. Il secondo intento di Bowen era quello di creare un contatto tra la sua teoria dei sistemi familiari e le scienze e lo fa attraverso un utilizzo di terminologie adottate dalla biologia.
Proprio da questo approccio allo studio Bowen arriva a scoprire le affinità del sistema famiglia governato dalle stesse dinamiche di tutti i sistemi naturali. Un altro punto della sua teoria, che esprime l’intento dell’autore di avvicinare lo studio delle dinamiche familiari alle scienze, è l’aver stabilito punti più o meno definiti, ad esempio, nella formulazione della scala di differenziazione del sé dove descrive lungo un continuum che va da 0 a 100 , diviso in 4 gruppi, i livelli di differenziazione della persone all’interno delle proprie famiglie e il livello macro di differenziazione del sistema familiare nucleare dalle relative famiglie di origine. Non pochi problemi e fraintendimenti provocò, poi, questa sua scelta tra i molti che intesero questa sua teorizzazione come uno strumento di misurazione e valutazione, cosa che non è.
Prima di approfondire il concetto di differenziazione del sé è necessario approfondirne coniato da Bowen, il quale definisce la massa indifferenziata dell’io della famiglia come una “identità emotiva conglomerata, che esiste a vari livelli di intensità in tutte le famiglie”. Con ciò Bowen punta l’attenzione sul processo emotivo che circola all’interno di ogni famiglia e che prevede precise modalità di risposta emotiva.
L’autore definisce il processo di differenziazione come quel processo attraverso cui ogni membro della famiglia arriva a esprimere sé stesso, le proprie idee e credenze senza farsi condizionare dalle pressioni emotive della famiglia. Lungo il continuum della scala di Bowen troviamo da un minimo di differenziazione a 0 fino ad un massimo, definito più ideale che reale, di 100 con una categorizzazione in 4 gruppi. Le persone appartenenti ai primi due gruppi sarebbero caratterizzate da un funzionamento maggiormente emotivo, con alta reattività e modello di presa decisionale basato prettamente su emozioni e sentimenti. Man mano che avanza il livello della scala si trovano persone con un funzionamento più equilibrato e bilanciato tra abilità emotiva e razionale: più l’individuo è differenziato rispetto alla massa indifferenziata dell’io della famiglia e meno sarà reattivo emotivamente all’interno della stessa, meno si farà coinvolgere dalle tensioni familiari e più sarà capace di esprimere sé stesso, di manifestare il Sé Reale. Bowen parla anche di Proto-Sé riferendosi a quella parte di sé che si esprime perennemente a seconda dei condizionamenti emotivi della propria famiglia.
La maturità emotiva sarebbe trasmissibile di generazione in generazione, e deriverebbe nella famiglia nucleare da quella delle relative famiglie di origine. Dice Bowen che ogni individuo è il risultato del sistema psico-emotivo di più di un centinaio di persone prima di lui.
Differenziarsi in questo senso risulta un processo davvero complicato: dal confronto con fonti esperte in materia è emerso, che nella maggior parte dei casi è difficile che avvenga prima dei 40 anni.
Si, perché provenire da generazioni di famiglie fusionali, ad alta reattività emotiva, dove ogni decisione per il singolo doveva prima essere passata al vaglio di mamme, nonne, papà e zii e cugini col mito della GRANDE FAMIGLI UNITA, dove ogni tentativo di differenziazione poteva verificarsi solo con “remissione” o “ taglio emotivo” (cioè allontanamento brusco dalla famiglia): Bowen ci insegna che il taglio emotivo è solo un’illusione, un doppio legame perché -dice- “la distanza ed il silenzio non traggono in inganno un sistema emotivo”. Ecco, provenire da questa massa indifferenziata dell’io rende il percorso di vita più complicato. Questo modello emotivo familiare rende gli attaccamenti inevitabilmente irrisolti e ti costringe all’indifferenziazione, perché loro non lo sono e non lo vogliono essere, perché è così che sono stati cresciuti.
Questo argomento risuona in molti pazienti come le campane tibetane (che non ti aspetti) insieme ai ricordi di “triangolazioni” che pian piano, il modello di terapia dei sistemi familiari boweniano porta le famiglie a riconoscere. Altro fenomeno, quindi, protagonista della teoria decritta nel testo è quello di triangolo e triangolazione. Nella sua esperienza trentennale di studio sulle famiglie l’autore giunge a teorizzare che un sistema di relazione a due non sarebbe sufficiente a reggere l’ansia e la tensione generata dagli stress a cui ogni famiglia va incontro nelle varie fasi del ciclo vitale e soprattutto nei momenti di conflitto coniugale, di problematiche o malattie di uno dei due coniugi o della trasmissione delle tensioni familiari sui figli. Nei casi di stress e ansia la coppia tenderebbe sistematicamente a coinvolgere un terzo membro all’interno della famiglia al fine di scaricare la tensione e risolvere il problema. Bowen dice che nei momenti di calma questo sistema risulta funzionale, ma all’aumentare della tensione risulta esplosivo. Più le famiglie sono coese e indifferenziate e più divengono esplosive. Si possono così osservare dinamiche nelle quali nel momento in cui l’ansia non diminuisce nella triangolazione uno dei membri cerca di coinvolgere un terzo, e poi un altro fino all’intersecarsi di molti triangoli interrelati che possono raggiungere via via membri sempre più esterni alla famiglia, come la scuola o le istituzioni. Il membro della diade che cerca il terzo lo fa con l’intento di essere assecondato, di portare dalla propria parte qualcun altro perché non riesce da solo ad esprimere sé stesso, perché dipende emotivamente dalla reazione dell’altro.
Come non pensare alle dinamiche familiari in cui coppie di genitori tentano di coinvolgere uno o più figli nelle loro dispute per essere “difesi”, o per essere “compresi”, per dimostrare all’altro che si ha ragione.
O a coppie di fratelli che cercano affiliazione in uno o l’altro genitore per andare contra al fratello. O coppie di madre e figlia che si coalizzano contro il padre al fine di ottenere un vantaggio.
“Mi ricordo ancora di quando mio nonno, separato da mia nonna, mi chiamava dall’angolo della strada (in cui mi trovavo a casa della nonna), per non farsi vedere dalla nonna, per riportare frasi di corteggiamento. Mi diceva che si sentiva solo, escluso e che la nonna non lo voleva più (era lui ad aver deciso di abbandonare la nonna per costruirsi un’altra famiglia) e mi pregava di convincere la nonna a farsi riabbracciare da lui. Diceva: – coi tuoi occhioni dolci la convincerai. Così io pensavo che la cattiva fosse la nonna e cercavo di convincerla”. Così una paziente descrive perfettamente ciò che Bowen definisce triangolazione.
Insomma, gli esempi sono tanti.
Importante il contributo di questo volume nella comprensione dei modelli di funzionamento e di disfunzione del sistema familiare alla base. Dall’osservazione di modelli ripetitivi di funzionamento in cui predominano livelli differenti di differenziazione tra i membri, si assiste a delle dinamiche in cui, in momenti di stress particolari il sistema cerca di bilanciarsi: dal cattivo Funzionamento di uno dei membri si assiste ad un superfunzionamento dell’altro. E questo tentativo spinge e pressa sotto mentite spoglie di “necessità” fino a far emergere uno stato di disfunzionalita: i sintomi. “… dovunque compaiano nella famiglia, (i sintomi) sono prove di disfunzione, sia che appaiano in un aveste emotiva, fisica, conflittuale o sociale”.
E la cosa altrettanto interessante è che questi possono emergere dopo mesi e anni, ad esempio, da un evento traumatico per la famiglia. Bowen definisce questo fenomeno come onda d’urto emotiva che dipenderebbe da una rete di dipendenza emotiva reciproca tra i membri della famiglia.
Il modello terapeutico proposto da Bowen ci evidenzia un terapeuta non curatore, ma terzo di un triangolo e in continua posizione di detrangolazione. Un terapeuta che non si vede reagire emotivamente, differenziato agisce come modello per la famiglia; si mantiene sempre neutrale tra le parti e attraverso operazioni di “capovolgimento” produce azioni che creano movimento e reazioni all’interno della famiglia. Il terapeuta boweriano aiuta la coppia a conoscersi e a differenziarsi: allena la famiglia a riconoscere le dinamiche disfunzionali in atto e li allena a fare poi da soli.
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